18 Settembre 2015 | by miconi
Obbligo fatturazione elettronica e Avvocati antistatari

Ad introdurre l’obbligo di fatturazione elettronica alle Pubbliche Amministrazioni è stata la legge finanziaria dell’anno 2008 (Legge n. 244/2007, art. 1, commi da 209 a 214) che -al fine di semplificare il procedimento di fatturazione e registrazione delle operazioni imponibili, l’emissione, la trasmissione, la conservazione e l’archiviazione delle fatture emesse nei rapporti con le pubbliche amministrazioni, anche a ordinamento autonomo, e con gli enti pubblici nazionali, anche sotto forma di nota, conto, parcella e simili- ha previsto che la fatturazione deve essere effettuata esclusivamente in formato elettronico.

Gli avvocati, consulenti e difensori delle amministrazioni pubbliche, hanno l’obbligo di gestire per le prestazioni rese, il proprio ciclo di fatturazione esclusivamente in modalità elettronica, non solo nelle fasi di emissione e trasmissione, ma anche per quel che concerna la conservazione; benché esonerati dagli obblighi relativi alla scissione IVA (c.d. split payment), come confermato di recente dalla circolare n. 6/E/2015 dell’Agenzia delle Entrate.

Pertanto, la trasmissione delle fatture elettroniche destinate alle Amministrazioni dello Stato deve essere effettuata attraverso il Sistema d’Interscambio (Sdi) gestito dall’Agenzia delle Entrate; ossia il sistema informatico di supporto al processo di ricezione e successivo inoltro delle fatture elettroniche alle amministrazioni destinatarie. Ai sensi dell’articolo 21, comma 1, del DPR 633/1972, la fattura elettronica è, allo stato, la sola tipologia di fattura accettata dalle Amministrazioni pubbliche che, secondo le disposizioni di legge, sono tenute ad avvalersi del succitato sistema di interscambio.

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Ciò premesso, il tema del presente post ci impone di evidenziare come l’obbligo in parola ha ingenerato e sta ingenerando talune perplessità in ordine agli adempimenti gravanti sugli Avvocati  antistatari (ex art. 93 c.p.c.) e non antistatari, che hanno ottenuto un provvedimento di condanna al pagamento delle spese di lite a carico di una Pubblica Amministrazione.
Con circolare n. 66 del 28 maggio 2014 e con i messaggi n. 7022 del 15 settembre 2014 e n. 7842 del 28 ottobre 2014, l’I.N.P.S. (alla luce della Circolare n. 203/E del 06/12/1994 dell’allora Ministero delle Finanze, ripresa dalla successiva risoluzione n. 106E del 19 settembre 2006 dell’Agenzia dell’Entrate) ha utilmente indicato la condotta dalla medesima seguita in caso di sua soccombenza in giudizio.
In soldoni, ad avviso del predetto Istituto previdenziale, l’Avvocato (che sia distrattario o meno) è tenuto ad emettere fattura per l’opera professionale svolta nel giudizio (che ha visto l’I.N.P.S. condannato al pagamento della spese di lite) intestandola direttamente al proprio cliente e non all’I.N.P.S. È escluso, sempre ad avviso dell’I.N.P.S., che sull’Avvocato gravi l’impegno di trasmettergli la predetta fattura, men che meno quindi in “formato elettronico”.

Tuttavia, tale ricostruzione (che torna certamente utile come indicazione di massima per la fatturazione ad altre amministrazioni in casi simili), appare, a mio sommesso avviso, non del tutto convincente nella misura in cui, in modo aprioristico, esclude un qualsivoglia “obbligo di trasmissione” della fattura intestata al cliente. Appare all’uopo bastevole ricordare che la Corte di Cassazione, Sezione I, con sentenza del 22 giugno 1982 n. 3777, – mutando un precedente indirizzo e pronunciandosi in senso conforme a quello contenuto nella risoluzione n. 8/1619 dell’8 novembre 1991 dell’Agenzia delle Entrate in tema di obblighi inerenti l’applicazione della ritenuta d’acconto – ha stabilito che “l’obbligo della ritenuta a titolo d’acconto dell’Irpef – posto dall’articolo 25 del DPR 29 settembre 1973 n. 600, a carico dei soggetti elencati nel comma 1 del precedente articolo 23 – si applica anche per i pagamenti eseguiti in esecuzione di una sentenza di condanna alle spese processuali, in favore del difensore distrattario della controparte vittoriosa, in quanto il debito, anche se soddisfatto da un terzo, rimane qualificato dal suo originario contenuto di corrispettivo dovuto, oggettivamente considerato, per le prestazioni professionali, come tali soggette alla citata normativa, indipendentemente da un diretto rapporto di clientela tra l’avvocato distrattario e la parte che esegue il pagamento”.
Alla luce di quanto sopra rilevato dal Giudice di legittimità, soggetto obbligato al versamento della ritenuta d’acconto è anche il terzo soccombente, sostituto d’imposta, quindi anche una pubblica amministrazione, sebbene la parcella risulta (e deve essere) intestata dall’avvocato al proprio cliente vittorioso.

In tal caso, ritengo che la parcella dell’avvocato torna di certo estremamente indispensabile all’amministrazione per determinare con esattezza l’importo della ritenuta d’acconto alla fonte da applicare a quanto corrisposto all’avvocato, considerando che l’importo molto spesso contiene anche il rimborso di spese esenti ex art. 15 DPR 633/1972, come il contributo unificato, come tali non soggette a ritenuta alla fonte in quanto spese non imponibili ai fini Irpef.

Riterrei utile un’ulteriore approfondimento della questione che ci occupa, al fine di comprendere meglio la corretta prassi da seguire in tali occasioni; affinché, l’incertezza, non penalizzi le legittime istanze creditorie degli Avvocati.

Vi auguro, come sempre, un buon lavoro.

Avv. Daniele Miconi

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